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Spunti euro mediterranei dalle elezioni libiche. Si vis pacem, para mercatum

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– Da sabato scorso in Libia si respira il profumo, quanto mai primaverile, del “liberation party”.  Circa il 66 per cento dei quasi 2,8 milioni di cittadini aventi diritto al voto si sono recati alle urne per scegliere i 200 membri del Congresso Generale Nazionale, con il compito di nominare il nuovo governo, prima che un altro turno di elezioni determini la composizione dell’Assemblea Costituente, chiamata a disegnare i futuri rapporti tra i nuovi poteri libici.

Ma tra gli invitati c’erano anche gli “imbucati”. I dissidenti della Cirenaica, infatti, dopo aver ottenuto che la  futura Costituente fosse eletta anziché nominata dal Congresso come inizialmente previsto,  hanno continuato a far sentire la propria voce e, mentre lo spoglio dei voti giunge a termine, ci si chiede in che modo la futura Assemblea riuscirà a gestire i malumori di un Paese in cui la sola maggioranza aritmetica non basta ad evitarne  il collasso. Il problema sta a monte, nella sua natura multi-tribale, nella definizione all’italiana dei confini fatta durante il colonialismo del Bel Paese (con la conseguente unificazione della Tripolitania, della Cirenaica e di un’ampia porzione del deserto del Sahara) e nel fatto che mentre buona parte della popolazione e del potere si trovano in Tripolitania, roccaforte dei partiti “laico-liberali”, è la Cirenaica integralista a vantare il possesso di quasi tutti i giacimenti petroliferi  e di gran parte delle milizie irregolari che hanno combattuto Gheddafi.

Le sfide  e le opportunità partorite dalla transizione politica della Libia, come pure quelle egiziane e tunisine, bagnano le coste d’Europa.  Non sarebbe il caso di buttare le reti e provare ad attraccare qualche barca in più ai loro porti? Non è il momento che l’Ue abbandoni  una politica estera narcolettica ed amnesica, per lasciare lo spazio ad un accordo di libero scambio fortemente cooperativo, che superi ogni logica assistenzialistica?

Legami secolari uniscono l’Europa ai paesi protagonisti della primavera araba. Senza ombra di dubbio, questi rapporti rappresentano un grande potenziale, con molti  interessi complementari, soprattutto in campo energetico. Mentre la prima cerca di diversificare i suoi fornitori, i secondi perseguono la diversificazione dei paesi destinatari delle esportazioni. Se la sicurezza energetica europea poggia sulla diversificazione degli approvvigionamenti, quella dei vicini poggia sulla diversificazione di domanda. I paesi del Mediterraneo del sud  sono partner fin troppo interessanti per sottostimarne l’engagement. La Libia è un produttore consolidato con infrastrutture energetiche ben sviluppate, mentre l’Egitto produce petrolio da molto tempo e le recenti scoperte di gas stanno accelerando la costruzione di moderne infrastrutture anche in questo campo.

La logica di questi legami, accompagnati dal timore di instabilità e migrazione di massa, porta ad una sola direzione di lungo termine: una nuova partnership, che contempli differenti forme di adesione di alcuni paesi nordafricani all’Ue.

Ci aveva pensato già Sarkozy nel 2008, inaugurando l’Unione del Mediterraneo, con l’obiettivo di promuovere il dialogo politico e il partenariato tra le nazioni che si affacciano sul Mediterraneo. Da quella data, però, gli equilibri economico-sociali di tutti paesi interessati sono profondamente mutati. La crisi politica a lungo termine portata dagli eventi  in Egitto, Tunisia e Libia si ripercuote inevitabilmente nel nostro lontano futuro, diventando un’opportunità per il rilancio dell’integrazione dell’area euro-mediterranea e della politica comunitaria europea. Sarà necessaria una nuova formula per offrire un’integrazione economica, con successivo accesso ai commerci e al mercato unico, alle neodemocrazie nordafricane.

Considerare il Mediterraneo come un mosaico da valorizzare in prospettiva di uno sviluppo policentrico ed endogeno, permetterebbe all’Unione di riparare le ammaccature riportate negli ultimi anni dalla crisi economica, presentando agli occhi dei mercati e degli investitori un modello pluralistico che supera i limiti delle relazioni bilaterali, pur sempre esaltando e potenziando le diversità.

Una crisi leva l’altra.


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